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Studium Cives è la tua sicurezza legale. Un rapporto personale e fiduciario di Avvocati che rappresentano privati ed imprese in diverse aree legali. Ci occupiamo di ogni causa individualmente e investiamo le nostre migliori menti in ogni caso affidato. Affrontiamo la digital transformation attraverso un approccio innovativo al diritto, che permette il controllo del cliente in ogni aspetto e fase del procedimento, con focus nella compliance e nel diritto alla privacy. Il tuo successo legale è la nostra priorità.

Dal 01.09.2021 lo studio è entrato a far parte del network internazionale indipendente BEVOR.

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Data protection officer  (DPO)

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Internazionale

News


Autore: Luca Sanna 22 gen, 2022
Didattica a distanza, Green Pass e Super Green Pass : la privacy in pandemia sembra essere un diritto fluido. Gli ultimi interventi del Garante per la protezione dei dati personali evidenziano in maniera marcata come i diritti costituzionali di “nuova creazione” siano tutelati in maniera arbitraria e a volte nebulosa.
Autore: Tiziana Pica e Luca Sanna 03 dic, 2021
Le truffe informatiche e lo scam finanziario nella maggior parte dei casi inducono l’investitore a cadere nella rete dei truffatori attraverso promesse di facile guadagno contenute all’interno di portali considerati affidabili. Ecco alcuni accorgimenti che permettono di individuare fin da subito la truffa on line
Autore: Luca Sanna 03 dic, 2021
Semplificazioni bis, come sopravvivere alla giungla degli appalti rispettando le norme di tracciabilità
Autore: Avv. Tiziana Pica 16 nov, 2021
Studium Cives ha moderato con l'avv. Tiziana Pica e l'avv. Luca Sanna la Settimana della Legalità presso la Sala Fellini di Cinecittà S.p.A. Si ringrazia il Consigliere presso la Corte dei Conti Dott.ssa Rossana Rummo e il Segretario Generale della Corte Costituzionale Dott. Carlo Visconti, nonché tutti i consiglieri, i dirigenti, gli avvocati di Cinecittà che hanno reso possibile questa iniziativa. #studiumcives #Cinecittà #legalità #trasparenza #diritto #giornatadellalegalitàetrasparenza #formazione #culturadellalegalità
Autore: Tiziana Pica 22 set, 2021
Premessa Nel mondo informatico e digitale, nella navigazione tra siti e app mobile, hanno assunto un ruolo da protagonisti i famigerati “cookies”, i pionieri dei sistemi di tracciamento dell’utente del web. Fino a pochi giorni fa la disciplina dell’uso corretto dei cookies era quella tracciata dalle Linee guida adottate dal Garante per la Protezione dei Dati Personali nel 2014. Tuttavia, di fronte al persistere di uno sconfinato utilizzo dei cookie in violazione delle Linee Guida del Garante nonché dei principi stabiliti dal Regolamento UE n. 2016/679 (il GDPR), l’Autorità è nuovamente intervenuta sul punto per delineare in modo più chiaro e netto l’impiego dei “biscotti digitali” affinché il “barattolo” dei cookies si riduca a un mero baratto tra accesso a piattaforme, siti web e servizi in cambio dei dati personali dell’Interessato navigatore. La disciplina dei Cookies prima del Regolamento UE n. 2016/679 Come noto, il Garante Privacy con provvedimento dell’8 maggio 2014 aveva adottato le Linee guida per un uso dei cd. Cookies conforme a quella che all’epoca, ante GDPR, era la normativa vigente in materia di privacy e tutela dei dati personali. Perseguendo l’obiettivo di tutelare gli utenti da profilazioni effettuate a loro insaputa sulla base dei loro comportamenti in rete, il Garante aveva adottato un provvedimento per chiarire e semplificare l’osservanza della disciplina sul corretto utilizzo di tali strumenti di tracciamento e profilazione derivante dalla normativa comunitaria che in Italia era stata recepita nel 2012. Ebbene, l’ambito applicativo della normativa sui cookie rileva per tutti i siti web e le web app che, a prescindere dalla presenza di una sede nel territorio italiano, installano cookie sui terminali degli utenti, utilizzando quindi per il trattamento “strumenti situati sul territorio dello Stato” (così recitava il vecchio testo dell’art. 5, comma 2, del Codice privacy, abrogato con il d.lgs. n. 101/2018). In particolare, secondo i capisaldi delle linee guida del 2014: • i siti che non utilizzano cookie non sono soggetti ad alcun obbligo; • per l´utilizzo di cookie tecnici è richiesta la sola informativa (ad esempio nella privacy policy del sito). Non è necessario realizzare specifici banner; • i cookie analitici sono assimilati a quelli tecnici solo quando realizzati e utilizzati direttamente dal sito prima parte per migliorarne la fruibilità; • se i cookie analitici sono messi a disposizione da terze parti i titolari non sono soggetti ad obblighi (tra cui in primis la notificazione al Garante) qualora: i) siano adottati strumenti che riducono il potere identificativo dei cookie (ad esempio tramite il mascheramento di porzioni significative dell´IP) e ii) la terza parte si impegna a non incrociare le informazioni contenute nei cookies con altre di cui già dispone; • se sul sito ci sono link a siti di terze parti (es. banner pubblicitari; collegamenti a social network) che non richiedono l´installazione di cookie di profilazione non c´è bisogno di informativa e consenso; • nell´informativa estesa il consenso all´uso di cookie di profilazione potrà essere richiesto per singole categorie (es. viaggi, sport); • È possibile effettuare una sola notificazione per tutti i diversi siti web che vengono gestiti nell´ambito dello stesso dominio; • gli obblighi si applicano a tutti i siti che installano cookie sui terminali degli utenti, a prescindere dalla presenza di una sede in Italia. Le novità introdotte dal provvedimento del Garante Privacy del 10 giugno 2021 Il quadro giuridico di riferimento attualmente è costituito tanto dalle disposizioni della direttiva 2002/58/Ce (cd. direttiva ePrivacy) e successive modifiche, come recepita nell’ordinamento italiano all’art. 122 del Codice Privacy, quanto dal Regolamento UE n. 2016/679 per ciò che concerne specificamente la nozione di consenso di cui agli artt. 4, punto 11) e 7) e al Considerando 32, come da ultimo interpretati dalle Linee Guida del WP29 adottate il 10 aprile 2018, ratificate dal Comitato europeo per la Protezione dei dati personali (di seguito, EDPB) il 25 maggio 2018 e sostituite, da ultimo, dalle Guidelines 05/2020 on consent under Regulation 2016/679 adottate il 4 maggio 2020. Sennonchè, la figura dell’Interessato sempre più esigente e propenso a perfezionare o massimizzare la navigazione sul web e i profili personali delle app attivate sui propri dispositivi, da una lato, e le novità del GDPR, incentrato sui principi di privacy by design e privacy by default, e le sempre più numerose segnalazioni prevenute all’Autorità di Controllo negli ultimi due anni, dall’altro latro, hanno inevitabilmente condotto il Garante privacy all’adozione di un aggiornamento della disciplina. L’upgrade delle Linee guida del 2014, passa per i seguenti punti fermi e le relative considerazioni. Anzitutto, osserva il Garante, i cookie e gli altri strumenti di tracciamento possono avere caratteristiche diverse sotto il profilo temporale e dunque essere considerati in base alla loro durata (di sessione o permanenti), ovvero dal punto di vista soggettivo (a seconda che il publisher agisca autonomamente o per conto della “terza parte”). La loro classificazione poggia essenzialmente su due macro categorie: a) i cookie tecnici, utilizzati al solo fine di “effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica, o nella misura strettamente necessaria al fornitore di un servizio della società dell’informazione esplicitamente richiesto dal contraente o dall’utente a erogare tale servizio” (art. 122, comma 1 del Codice); b) i cookie di profilazione, utilizzati per ricondurre a soggetti determinati, identificati o identificabili, specifiche azioni o schemi comportamentali ricorrenti nell’uso delle funzionalità offerte (pattern) al fine del raggruppamento dei diversi profili all’interno di cluster omogenei di diversa ampiezza, in modo che sia possibile inviare messaggi pubblicitari sempre più mirati, cioè in linea con le preferenze manifestate dall’utente nell’ambito della navigazione in rete. Anche per gli altri strumenti di tracciamento si può ricorrere al criterio della finalità per la quale sono utilizzati, ovvero quella meramente tecnica e quella commerciale, per procedere alla loro classificazione. Ciò premesso, il Garante ha chiarito che per l’impiego di cookie tecnici, in virtù della funzione assolta e nei limiti ed alle condizioni richiamate, il titolare del trattamento sarà assoggettato al solo obbligo di fornire l’informativa, anche eventualmente inserita all’interno dell’informativa di carattere generale, rientrando il loro impiego in una ipotesi codificata di esenzione dall’obbligo di acquisizione del consenso dell’interessato. Invece, per i cookie di profilazione e gli altri strumenti di tracciamento potranno essere utilizzati esclusivamente dopo la previa acquisizione del consenso informato dell’interessato utente così come prevede ancora oggi l’art. 122 del Codice privacy. Tale norma è stata introdotta nel d.lgs. n. 196/2003 a seguito del recepimento in Italia della direttiva ePrivacy n. 2002/58/Ce, che, come le norme di diritto interno che la recepiscono, è tuttora applicabile allo specifico settore che riguarda i trattamenti di dati effettuati nell’ambito delle comunicazioni elettroniche. Difatti, il Garante sottolinea come ad esclusione delle fattispecie disciplinate in via esclusiva ed esaustiva dalla direttiva ePrivacy, molte attività di trattamento devono dunque essere ricondotte all’ambito di applicazione tanto della direttiva quanto del Regolamento UE n. 2016/679, con la specificazione tuttavia che, per la parte di potenziale sovrapposizione ogniqualvolta la direttiva renda più specifiche le regole del Regolamento, essa, in quanto lex specialis, dovrà essere applicata e prevarrà sugli articoli del Regolamento. Le disposizioni del GDPR sono invece applicabili per tutte quelle fattispecie non specificamente previste dalla direttiva nonché per offrire, alle norme di questa, la cornice regolatoria di carattere generale entro cui collocarne i precetti, come appunto quella sull’acquisizione del consenso. Ebbene, le Linee guida del 10 giugno 2021 fissano le seguenti novità: a) ai fini della corretta acquisizione del consenso dell’utente al trattamento dei dati il solo “scrolling” (ovvero l’azione consistente nel lasciare scorrere la pagina così da mostrarne sullo schermo la parte sottostante al banner contenente la c.d. informativa breve) non è sufficiente ad integrare un valido consenso dell’interessato all’installazione e all’utilizzo di cookie di profilazione nonché all’utilizzo del c.d. cookie wall che vincolano l’utente a cliccare solo su “ok” pena l’impossibilità di navigare sul sito. Mentre tale ultima tecnica è ritenuta illegittima dal Garante, salva l’ipotesi, da verificare caso per caso, nella quale il titolare del sito consenta all’utente l’accesso a contenuti o servizi equivalenti senza richiesta di consenso all’uso dei cookie o di altri tracciatori, con riferimento allo scrolling l’Autorità ritiene possa essere utilizzata ma solo come componente di un più articolato processo che consenta comunque all’utente di segnalare al titolare del sito una scelta inequivoca nel senso di prestare il proprio consenso all’uso dei cookie. b) sempre nell’ambito dell’acquisizione del consenso è stato evidenziato che, al fine di evitare ridondanti richieste del consenso all’utilizzo dei cookies effettuati da alcuni siti web ad ogni singolo accesso dell’utente che già aveva espresso le sue preferenze al primo accesso – riproposizione della richiesta del consenso e delle preferenze che integra peraltro una sorta di pratica defatigante che mira a sfiancare l’utente del web, che aveva già espresso le sue preferenze, inducendolo a dare in maniera forzosa il consenso all’utilizzo di tutte le diverse tipologie di cookies – , i gestori di siti web debbano evitare di attivare il banner per la raccolta delle preferenze dell’interessato ad ogni accesso. Una volta che l’utente non ha fornito il proprio consenso o lo abbia fornito solo per l’impiego di alcuni cookie, il banner non dovrà più essere ripresentato salvo che in specifici casi, ovvero: i) quando cambiano significativamente una o più condizioni del trattamento, ad esempio le “terze parti”; ii) quando è impossibile per il provider sapere se un cookie tecnico è già stato posizionato nel dispositivo dell’utente (ad esempio nel caso in cui sia l’utente stesso a cancellare i cookie, ricordando che la cancellazione dei cookie dalla cronologia effettuata dall’utente non integra la revoca del consenso dell’interessato); iii) quando sono trascorsi almeno sei mesi dalla precedente presentazione del banner. c) per impostazione predefinita (privacy by design e privacy by default), al momento del primo accesso dell’utente a un sito web, alcun cookie diverso da quelli tecnici può essere posizionato all’interno del dispositivo dell’utente, né può essere utilizzata alcuna altra tecnica attiva o passiva di profilazione. Tuttavia, poiché occorre assicurare anche la libertà di scelta di chi invece intenda accettare di essere profilato, il Garante suggerisce che i gestori dei siti web implementino un meccanismo in base al quale l’utente, accedendo alla home page (o ad altra pagina) del sito web, visualizzi immediatamente un’area di dimensioni sufficienti da costituire una percettibile discontinuità nella fruizione dei contenuti della pagina web che sta visitando, che sia parte integrante di un meccanismo che, pur non impedendo il mantenimento delle impostazioni di default, permetta anche l’eventuale espressione di una azione positiva nella quale deve sostanziarsi la manifestazione del consenso dell’interessato. d) Dunque, secondo il Garante, l’utente che sceglie di mantenere le impostazioni di default e dunque di non prestare il proprio consenso al posizionamento dei cookie o all’impiego di altre tecniche di profilazione, dovrebbe dunque limitarsi a chiudere tale finestra o area cliccando sulla famosa “X” del comando “annulla” posizionata in alto a destra del banner medesimo, senza essere costretto ad accedere ad altre aree o pagine a ciò appositamente dedicate. In tal modo, il Titolare del trattamento opererebbe nel rispetto dei principi della privacy by default e il consenso potrà intendersi come validamente prestato soltanto se sarà conseguenza di un intervento attivo, libero e consapevole dell’utente, riscontrabile e dimostrabile da parte del Titolare (accountability), che consenta di qualificarlo come in linea con il Regolamento. e) Già nelle Linee guida del 2014 ha affermato che i cookie identificativi, ovvero i cookie analytics, possono essere ricompresi nella categoria di quelli tecnici, e come tali essere utilizzati in assenza della previa acquisizione del consenso dell’interessato, al verificarsi di determinate condizioni. Ma, affinché il Titolare operi anche nel rispetto dell’art. 25, paragrafo 1, del Regolamento ovvero attuando “in modo efficace i principi di protezione dei dati”, dovrà anche adottare misure di minimizzazione del dato che riducano significativamente il potere identificativo dei cookie analytics, qualora il loro utilizzo avvenga ad opera di “terze parti”. Ciò implica, a parere dell’Autorità di Controllo italiana, che i cookie analytics possano essere equiparati ai cookie tecnici solo laddove attraverso il loro utilizzo non sia possibile risalire all’identificazione dell’interessato (cd. single out): dunque bisogna impedire l’uso di cookie analytics che, per le loro caratteristiche, possano risultare identificatori diretti ed univoci. Infine, il Garante ricorda che l’uso dei cookie analytics deve essere limitato alla produzione di statistiche aggregate e deve avvenire in relazione ad un singolo sito o una sola applicazione mobile, in modo da non consentire il tracciamento della navigazione della persona che utilizza applicazioni diverse o naviga in siti web diversi. f) Anche l’informativa, antefatto della raccolta del consenso e delle eventuali preferenze dell’interessato, deve essere migliorata affinché gli utenti ricevano un’informativa conforme ai rinnovati requisiti di trasparenza imposti dagli articoli 12 e 13 del Regolamento, compresa l’indicazione circa gli eventuali altri soggetti destinatari dei dati personali ed i tempi di conservazione delle informazioni acquisite. Al riguardo il Garante suggerisce il ricorso a modelli di informativa che sia multilayer, ovvero dislocata su più livelli, e che al contempo possa essere resa, eventualmente in relazione a specifiche necessità, anche per il tramite di più canali e modalità (cd. multichannel), in modo da sfruttare al massimo più canali comunicativi dinamici (es. canali video, pop-up informativi, interazioni vocali, assistenti virtuali, all’impiego del telefono, etc.). I soggetti che in qualità di Titolari del trattamento gestiscono siti web, siti app o app mobili dovranno adeguarsi al testo definitivo delle Linee Guida sottoposte entro il termine di 6 mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Autore: Luca Sanna 03 set, 2021
Da una parte le ragioni di Apple, per anni indiscusse. Dall’altra, quelle degli sviluppatori. Le cui pressioni cercano di smuovere un castello – quello degli app store, quello di Google incluso – che finora sembrava destinato a restare intatto in eterno. Al momento il castello sembra resistere bene agli assalti. Resilienza, la parola giusta. Primi segnali di cedimento di Apple o è solo un trucco? Lo scorso 26 agosto, quando Apple ha proposto un accordo in transazione con un’associazione di sviluppatori, all’interno di una class action, che è stato definito epocale dalla stampa, ma che in realtà mantiene lo status quo dell’azienda fondata da Steve Jobs per i prossimi tre anni. L’accordo prevede l’impegno della Mela di lasciare invariata la percentuale della commissione sulle transazioni per i prossimi tre anni, di basare la visualizzazione delle app su criteri oggettivi di download e valutazione degli utenti ed infine di aumentare il prezzario delle App e dei servizi associati dal numero di 100 al numero di 500 (in altre parole il prezzo applicato per le App e per i servizi può essere scelto sulla base di 500 possibilità). Dall’altra parte cade l’obbligo per gli sviluppatori di far pagare un contenuto o un abbonamento in app. Molti commentatori, tra cui Jack Nicas del New York Times, hanno definito tale accordo una “farsa”, perché, seppur decada l’obbligo di acquisto all’interno dell’applicazione, ancora non è prevista la possibilità di inserire all’interno delle app un sistema diverso di transazioni. Nei fatti sarà possibile per le aziende informatiche comunicare al cliente la possibilità di usufruire di altri sistemi di pagamento diversi da quello di Apple, così come già stava accadendo dopo che persino Spotify aveva iniziato ad indirizzare i clienti all’interno del proprio sistema interno. Con l’accordo Apple ha proposto il pagamento di 100 milioni di dollari alle aziende querelanti, che però ne richiedono altri 30. Il pagamento non sarà a titolo risarcitorio, ma come un incentivo ai piccoli sviluppatori a proseguire la loro opera meritoria. Da una indiscrezione del NY Times pare che il patto di quota lite tra la difesa dei querelanti e gli sviluppatori si aggiri intorno alla percentuale del 25%. Sicché, dei circa 70 milioni di euro attesi, ogni azienda dovrebbe ricevere da 250 dollari a 30.000 dollari ciascuno in proporzione al fatturato. Occorre precisare che l’accordo del 26 Agosto attende ancora l’approvazione del Giudice Yvonne Gonzalez Rogers della Corte Distrettuale degli Stati Uniti d’America per il distretto della California. Concessione a Netflix, Spotify Un passetto ulteriore è arrivato a inizi settembre, quando Apple ha proposto che le reading app, come Netflix e Spotify, permettano in effetti di pubblicare sistemi di pagamento alternativi all’interno delle app. Ma ancora dalle carte del processo con Fortine – riporta il NYTimes – risulta che i ricavi Apple da questo tipo di app sono trascurabili; il grosso viene dai videogiochi, infatti. Le diverse ragioni Apple sostiene che la percentuale di commissione applicata sulle transazioni, 30 per cento che crea un mercato di 20 miliardi di dollari, è il prezzo che lo sviluppatore paga per appoggiarsi su un negozio che ha una vetrina dalla quale passano potenzialmente 7 miliardi di persone. Così come un negozio nelle vie centrali delle grandi metropoli ha un costo di affitto molto alto, allo stesso modo la presenza all’interno dello Store più famoso del mondo sconta un prezzo elevato. Simili gli argomenti che Google ha sempre sostenuto (con la differenza che permette, a differenza di Apple, di installare app al di fuori del sistema store): la commissione ci permette di mantenere un ambiente sicuro. Gli sviluppatori, soprattutto delle Big Tech, dall’altra parte non sono più disposti a rinunciare ad una parte importante dei loro profitti e hanno così iniziato numerosissime battaglie legali all’interno dei Tribunali distrettuali americani. Il sistema di Apple è semplice. Al momento della immissione all’interno dello Store, l’azienda californiana costringe lo sviluppatore ad usare il suo sistema di pagamento interno, riscuotendo così la propria commissione, in modo automatico. Apple per un lungo tempo ha anche impedito alle aziende di App di inviare mail ai propri clienti per destinarli ad altri sistemi esterni di pagamento. E’ evidente che la maggioranza delle aziende informatiche preferirebbe fare sterzare il cliente al proprio sistema di pagamento, evitando di dover pagare il gettone ad Apple. La prima ribellione Una delle prime aziende che si è lamentata di tale sistema è stata Spotify, l’azienda svedese che offre il servizio di streaming musicale on demand nei confronti di quasi 140 milioni di utenti di cui 70 milioni di abbonati. E’ ironico che un’azienda musicale, evoluzione dell’I-Tunes store, sia stata la prima a rompere il sistema di pagamento interno, facendo registrare i proprio utenti all’interno dell’applicazione, ma impedendo agli stessi di sottoscrivere un abbonamento direttamente dalla App. Laddove un utente Spotify volesse sottoscrivere un abbonamento ha la necessità di andare direttamente sul sito internet dell’azienda. Per favorire ”l’esodo”, Spotify invia una e-mail agli account dei registrati dove pubblicizza semplicemente i servizi, con i relativi link di collegamento, senza mai violare i termini e le condizioni con Apple. Apple e Fortnite: La Royale Battle Non è certo finita qui. Curiosamente lo stesso giudice distrettuale è anche investito di dover decidere la querelle legale tra Epic Games, la società sviluppatrice di Minecraft e Fortnite, e Apple. La ragione della battaglia legale si può facilmente intuire: Fortnite è il gioco online più diffuso tra gli adolescenti e ha avuto il suo debutto nel mercato delle App il 2 aprile del 2018. Il gioco è gratuito, ma prevede una serie di servizi legati al gameplay acquistabili attraverso micropagamenti. Dopo solo il primo mese di pubblicazione si calcola che i guadagni abbiano superato i 25 milioni di Dollari, ed il gioco ha velocemente salito la classifica in termini numerici di download dello store. La genesi dello scontro avviene quando Epic Games decide di introdurre un metodo alternativo di pagamento aggirando Itunes ed impedendo a Apple di riscuotere la propria commissione. Apple si difende dicendo che il proprio Store non è differente rispetto a quello di altri colossi come Playstation o X-Box (Sony e Microsoft) che hanno anche loro un sistema nativo per i pagamenti che non può essere eluso e non comprende le ragioni di tale decisione. La App viene sospesa dallo store per qualche tempo e le parti finiscono innanzi al Tribunale. Uno degli aspetti importanti di questa vicenda sarà quindi la valutazione del giudice in merito ai terminali, I-Phone e I-Pad: se considerare tali device beni “generalisti”, cioè funzionali a più aspetti della vita, oppure devono rientrare in quella definizione che potremo chiamare “special purpose”. Epic Games ha citato a testimonio Lori Wright, responsabile della Xbox Business Development di Microsoft, la quale ha definito console come Xbox un dispositivo special purpose, perché viene utilizzata per uno scopo specifico, mentre un Computer Windows invero si presta ad un numero infinito di scopi. Un altro aspetto che emerso dal dibattimento riguarderebbe la tutela del consumatore. Mentre Epic Games ha imposto il limite di tre rimborsi per account, Apple ha una policy nei confronti dei consumatori molto più permissiva e non pone limiti ai rimborsi. Inoltre c’è un altro aspetto da considerare: Fortnite è accusato da molti osservatori, anche istituzionali, di essere uno strumento che aumenta la compulsività degli utenti più giovani, specie in termini di acquisti effettuati all’interno del gioco. In tal senso Epic Games, così come fatto da Spotify, avrebbe potuto indirizzare gli utenti ad effettuare i pagamenti esterni, e non in app, ma tale scelta avrebbe certamente ridotto gli introiti in maniera rilevante, perché avrebbe probabilmente smorzato “l’entusiasmo” del giocatore. In altre parole, il giocatore avrebbe potuto razionalmente decidere di non effettuare l’acquisto una volta smessi i panni del proprio eroe. Ci sarà un Giudice in California? Così come il mugnaio di Bertold Brecht che lotta contro l’imperatore per difendere i propri diritti, nella battaglia legale più attesa dell’anno si attende un verdetto che potrebbe non apparire più così storico, alla luce dell’accordo tra gli sviluppatori e Apple che potrebbe influenzare il Giudice Rogers verso una sentenza più conservativa. Non ci resta che attendere. https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/apple-e-gli-sviluppatori-chi-vincera-la-battaglia-degli-store/
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